TOTEM
di Fabio Massimo Franceschelli
Atto unico. Durata: 50 min. ca.
Il testo si dipana all’interno di una famiglia (composta da madre, padre e tre figli) le cui caratteristiche sociali sembrano richiamarsi a un proletariato urbano contemporaneo (vagamente anglosassone), ormai perso nel vortice di una completa disgregazione dei valori storici della borghesia occidentale.
Note dell'autore
È un vortice (volutamente esagerato e deformato nei toni, nelle atmosfere, nelle azioni rappresentate(che sotto le forme di un violento nichilismo mostra esplicitamente l’azione fondante di quel complesso edipico che Freud immaginò essere la primaria spinta costitutiva della famiglia e della società occidentale. Il complesso edipico in Totem non resta nascosto nello sfondo, in attesa di essere decriptato, bensì viene icasticamente e consciamente attuato nelle sue tragiche conseguenze: uccisione del padre e possesso della madre. All’interno di una famiglia che sembra uscita fuori dai peggiori incubi prodotti dall’immaginario “post-moderno“, il costrutto freudiano si unisce al Frazer del mito nemorense del Ramo d’oro, realizzando la morte del vecchio re e l’incoronazione dell’erede. C’è quindi, in questo testo, uno dei temi fondamentali della riflessione umana del Novecento. Ma il secolo scorso è fortemente presente anche nello stile narrativo utilizzato, che attinge pienamente da una delle correnti drammaturgiche pià significative del Novecento: quella che parte dai relitti umani descritti da Beckett, passa per la critica sociale di Pinter e sfocia nelle giungle umane di Mamet, Kane, Ravenhill.
Note di regia
Totem è quello che non si vede in scena...
Totem è l’ossessione di parecchi di noi...
Totem è l’impossibilità di compiere l’eterno rito del sacrificio del padre per far posto ai figli...
Totem è Godot che non arriva nel caveau d’una banca svedese...
Totem è lo spazio denso e senza catarsi tra il mobbing e la sindrome di Stoccolma...
Tutto è fermo tutto è bloccato tutto è invaso da una madre matrona tutto va in direzione del nichilismo...
Dio s’aspetta qualcosa. Tuo padre s’aspetta qualcosa. Tua madre s’aspetta qualcosa.
In un grande unico potentissimo mobbing dove non c’è salvezza ma solo puerili tentativi di accordi pragmatici tra fratelli nel nome di un brindisi. Pur di sfangare un altro giorno, un’altra ora, un altro minuto in attesa della libertà.
Voglio così rendere omaggio ai miei incubi ricorrenti - omaggio iniziato qualche anno fa con L’immaginario Malato (da Molière) - all’impossibilità di amare, all’impossibilità di rapporti umani in direzione della verità, all’impossibilità.
Insomma:
la vita è una merda; il Teatro la sua puzza.